Altri hanno sottolineato una cosa che secondo me è vera ma difficile da accettare: se fosse successo in MotoGP avrebbero subito fermato tutto. E poi, come purtroppo accade solo quando succedono delle tragedie, molti che non seguono il motociclismo si sono ricordati della sua esistenza. E allora che senso ha rischiare la vita per uno sport del genere.
Non dovremmo dimenticare che prima di essere un pilota Jason Dupasquier era un ragazzo di diciannove anni, e adesso li avrà per sempre. Poteva essere un nostro compagno di classe, un nostro amico. Uno di quegli studenti che probabilmente vedi poco a scuola, perché è sempre in giro per qualche gara. E anche se non lo conosci bene fai il tifo per lui, perché sì, magari sei invidioso che lui salta la verifica di matematica e tu no, ma sei lo stesso dalla sua parte.
Quando lo vedi pensi che sia bellissimo avere una passione che ti prende così tanto, e ti chiedi se tu hai qualcosa a cui ti senti attaccato allo stesso modo e per cui i tuoi genitori ti farebbero saltare la scuola.
Poi quando succedono queste cose provi a consolarti dicendoti che se n'è andato facendo quello che amava, e non perché è la solita cosa che si dice di chi fa questo mestiere, ma perché l'ha proprio detto Jason: "Se devo morire morirò sulla mia moto."
Ci sono passioni meno crudeli, ci sono scelte di vita diverse: c'è chi la domenica dorme fino a tardi perché la sera prima è andato a ballare. Ma anche se decido di correre su una moto a 250km/h, non posso accettare che il pericolo sia questo. Voglio uno sport come gli altri, dove l'unico rischio che c'è è quello di arrivare ultimo.
Illustrazioni di Gabriela