Marco Pantani potrebbe essere un Bike Bro!

Intervista a Tonina Pantani
Pubblicato da Marco il 17/02/2023 in Detective
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Io Marco Pantani non l'ho mai conosciuto e nel '98 non ero nemmeno al mondo ma so che se amo il ciclismo è grazie a lui. Forse siamo così legati perché mi chiamo come lui oppure perché vado al mare a Cesenatico da quando sono nato. Al Boschetto per la precisione, il quartiere di Cesenatico levante dove Marco è cresciuto tra la pineta e il chiosco di piadine di sua mamma Tonina. È stato mio nonno a parlarmene la prima volta, o forse mia mamma, quando a 4 anni le ho chiesto di chi fosse quel tipo pelato e sorridente che in riviera, in estate, vedi nelle foto appese sui muri di ogni bar. "È Marco Pantani, va in bici ed è il più forte di tutti".
Quando 3 mesi fa ci siamo messi in contatto per la prima volta con Dario e Oliver loro si trovavano ad Almeria. Era il loro ultimo giorno in Europa e la mattina dopo si sarebbero imbarcati per il Marocco con le loro biciclette. Ad agosto Dario e Oliver diventeranno i primi under 20 nella storia ad avere attraversato l'Africa Occidentale in bici e su Radioimmaginaria ogni mercoledì raccontiamo attraverso il podcast "Bike Bro" ogni tappa del loro viaggio. Quel giorno, quando ci siamo parlati per la prima volta, mi è venuto spontaneo pensare a Marco. Non a Marco Pantani, ma proprio a Marco, un ragazzino di 18 anni come Dario e Oliver che amava la bici così tanto da portarsela addirittura a letto e nella vasca da bagno. Sono sicuro che se Pantani fosse nato nel 2000 sarebbe loro amico! Anzi, potrebbe essere anche lui un Bike Bro. Così abbiamo deciso di parlarne con la persona che lo conosce meglio di tutti, sua mamma Tonina. Ecco cosa ci ha raccontato:
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Che adolescente era Marco?

Marco era un burlone, in casa ci stava poco, pedalava tutto il giorno e in inverno quando non poteva uscire stava in cantina a montare e smontare qualsiasi cosa. Quando ha iniziato ad andare in bicicletta lo faceva per gioco ed è stato così fino a quando è diventato professionista. Viveva la bici come una sfida con gli amici di scuola. Ha iniziato perché vedeva i suoi compagni uscire in bicicletta con il gruppo ciclistico "Fusto Coppi" di Cesenatico e un giorno gli è andato dietro con la mia bicicletta da donna. Quando sono tornata a casa da lavorare l'ho trovato steso a letto. Mi fa: "mamma oggi sono andato dietro a quelli della Fausto Coppi, sono stanco morto ma non mi hanno mica staccato!"

Avete mai discusso per la bicicletta?

Assolutamente no! Io Marco non l'ho mai spinto a fare nulla, poi di bicicletta non capivo niente, di quello parlava con suo babbo a pranzo. La bicicletta era la sua passione e poteva fare quello che voleva. Al tempo avevo due chioschi di piadine, 14 persone da gestire... Un giorno, dopo essere passato professionista, è venuto al chiosco e mi ha detto: "Mamma, io voglio smettere di correre" "Ma cosa sei matto!? Con tutti i sacrifici che hai fatto!" "Non è più lo stesso sport". Solo dopo ho capito cosa volesse dire.
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Ti ha mai fatto preoccupare quando usciva in bici?

Marco mi preoccupava sempre, anche perché con lui avevo un sesto senso incredibile. Quando si faceva male lo sentivo ancora prima che partisse, tanto che ad un certo punto ho iniziato a pensare che fossi io a portargli sfiga! Ogni giorno era la stessa storia, tornava a casa da scuola in corriera, buttava la cartella in camera, mangiava in fretta e poi si preparava per uscire in bicicletta. Un pomeriggio, quando stavo ancora lavando i piatti, mi è arrivata una telefonata dal pronto soccorso: "qui c'è Marco che è caduto, si è fatto male". Era andato in volata con altri 4 suoi amici ed era andato a sbattere contro un camion parcheggiato a bordo strada. Un giorno è stato investito, un'altra volta ha fatto un frontale contro una macchina... Di incidenti ne ha avuti moltissimi anche da ragazzino ma non ha mai avuto neanche lontanamente il pensiero di smettere. Aveva una forza di volontà e una sopportazione del dolore sovrannaturale.
Che sogno aveva?

Marco voleva avere una squadra di 1000 bambini per insegnargli ad andare in bici. Lui alla fine non è riuscito a realizzarlo ma ho deciso di farlo io al posto suo. Per me è stato un grande sacrificio, più volte ho sentito gente dire: "ma non ti vergogni ad indossare la maglia di un drogato?". Dopo 12 anni però non ce l'ho più fatta e ho lasciato. Non per colpa dei bambini, sia chiaro. Per colpa dei genitori. Quando vedi un genitore mettere il caffè nelle borracce dei bambini capisci che il ciclismo è destinato a morire... I bambini a quell'età devono fare gruppo, devono stare bene, divertirsi come faceva Marco. Oggi c'è un'idea della competitività assurda, esagerata.

Come ha fatto Marco a fare emozionare così tanta gente solo con una bicicletta?

Per la sua passione, la bicicletta era la sua vita. Mi diceva "io lo faccio per i miei tifosi, loro vengono da lontano e dormono per terra in una tenda per vedermi". A lui interessava solo questo: correre in bicicletta e fare contento chi lo guardava. Me l'ha sempre detto "io mamma voglio smettere di correre quando lo decido io, non quando lo decidono gli altri" e invece purtroppo lo hanno deciso gli altri.
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All'altezza del casello di Imola, sull'A14, l'autostrada che collega l'Europa alla riviera romagnola, c'è la biglia di Marco Pantani. Una biglia da spiaggia gigantesca, con dentro la foto di Marco. Ogni volta che ci passo davanti la guardo a occhi spalancati e penso che sia un'opera d'arte. Di statue in onore di Pantani ce ne sono moltissime in ogni parte di Italia ma la biglia è il simbolo perfetto perché vuol dire che Marco, in sella alla sua bicicletta, è riuscito ad unire il ciclismo al gioco, la bici agli adolescenti. In spiaggia oggi i ragazzi non giocano più con le biglie dei corridori ma se per noi la bici è ancora un simbolo di libertà lo dobbiamo sicuramente anche a Marco.
Dario e Oliver, i nostri Bike Bro, ne sono la prova. Marco ad un certo punto, dopo Madonna di Campiglio, si era fatto fare una mountain bike dalla Bianchi perché voleva fare il giro del mondo in bicicletta. Purtroppo non è mai riuscito a farlo e la sua bici è passata a mamma Tonina: "probabilmente voleva partire anche per allontanarsi un po' dalla parte cattiva che c'è nel mondo", ci ha raccontato "sono convinta che anche Dario e Oliver lo facciano per esplorare un'altra parte del mondo, vedere cosa c'è di là e anche un po' per evadere da questa società". Continuate a seguire Bike Bro, il podcast di Radioimmaginaria con Dario e Oliver, da Firenze a Città del Capo in bici, ogni mercoledì solo su www.radioimmaginaria.it
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