Quando avevo undici anni, poco prima di entrare in piscina per l'allenamento, la mia maestra mi ha detto che ero rotondetta. Fino a quel momento non avevo mai pensato molto al mio aspetto fisico, avevo appena iniziato a vestirmi da sola e l'unica cosa di cui mi preoccupavo era indossare sempre qualcosa di blu. Quel commento però mi ha aperto gli occhi. Ho iniziato a guardarmi attorno, a notare che le mie compagne erano molto più magre di me. Ho iniziato a sentirmi sbagliata. Ho smesso di portare la merenda a scuola. Mi era sempre piaciuto andare in piscina, ma da quel giorno iniziai a sentirmi a disagio con il costume, così ho smesso di nuotare.
Il caso farfalle
Era solo un commento, ma ci ho messo molto tempo a riprendermi. Ero piccola e gli adulti avevano sempre ragione, anche quando dicevano cose cattive. In questi giorni le testimonianze di alcune ginnaste stanno sconvolgendo il mondo dello sport e mi è venuto spontaneo ripensare alla me di undici anni, che ha smesso di praticare uno sport che amava perché si sentiva giudicata per il suo peso. Chissà a quante altre ragazze sta succedendo la stessa cosa, quante stanno perdendo l'appetito, la voglia di fare sport, e il sorriso per colpa dei commenti di allenatori e parenti sul loro corpo.
Io ho ancora speranza
Lo sport mi ha insegnato tante cose e so che, in fondo, ogni sport è buono. Non lo è più quando gli atleti, invece di concentrarsi su ciò che devono fare, si preoccupano di come appaiono o di chi li sta guardando. Quest'estate ho indossato un costume per la prima volta dopo anni e sono tornata a nuotare. Questa volta nessuno ha fatto commenti e lì ho pensato davvero che in un futuro non troppo lontano nessuno si sentirà più giudicato mentre fa sport, ma potrà divertirsi e basta, perché quando nuoti in una piscina o volteggi nell'aria in una palestra non stai solo gareggiando, stai semplicemente esistendo.